Alberi o cemento?

Valerio Ceva Grimaldi

alberi.jpg

ECOLOGIA URBANA. Nei centri urbani gli alberi sono sempre più rari. Potati male, tagliati peggio. Eppure rappresentano una risorsa fondamentale contro lo smog e per la biodiversità. La denuncia in un rapporto della Lipu.

Platani, ippocastani, pioppi, lecci, tigli. Ed ancora palme, siepi, giardini all’inglese. Tutte piante che, nelle nostre città, rischiano di essere sempre più rare, con pesanti conseguenze sia per il mantenimento della biodiversità che per la tutela dell’ambiente. Le nostre metropoli sono, infatti, sempre più assediate e consumate dall’avanzata del cemento. Eppure, gli alberi rivestono un ruolo fondamentale: producono ossigeno, filtrano l’inquinamento, ci proteggono dal rumore, rinfrescano il clima.
 
Secondo i dati forniti dalla Lipu, infatti, una pianta con un diametro di 25-30 centimetri assorbe ogni anno circa 30 kg di anidride carbonica (CO2), rilasciando una quantità di ossigeno equivalente a quella necessaria per la vita di dieci persone. Inoltre, la presenza di venti alberi è in grado di annullare le emissioni annue di CO2 di un’automobile, mentre le fasce di vegetazione possono ridurre i rumori del 70-80%, ed anche azzerare i fenomeni franosi. Spesso, però, gli alberi sono considerati solo un ingombro inutile: potati in modo maldestro o tagliati senza pietà. Non solo “disboschiamo” selvaggiamente i già poco verdi angoli delle metropoli, ma gestiamo male il patrimonio arboreo già esistente. In Europa, infatti, siamo maglia nera in quanto a potature selvagge.
 
Tagli radicali che spesso compromettono irrimediabilmente la vita delle piante, luogo dove peraltro trovano rifugio 190 specie di uccelli, di cui 83 di grande interesse conservazionistico. Il destino degli alberi cittadini, che in molti casi lasciano il posto a un parcheggio, a un centro commerciale o vengono più semplicemente lasciati morire dalla diffusa indifferenza delle istituzioni (come è accaduto con il punteruolo rosso per le palme), appare segnato. Una gestione definita dalla Lipu, senza mezzi termini, «dissennata».
 
Il problema, però, è più profondo e nel nostro Paese ha radici culturali. «Nel quadro del microclima locale, ma anche in rapporto ai cambiamenti climatici - spiega Marco Dinetti, autore del dossier e responsabile Ecologia Urbana Lipu - le aree verdi e la vegetazione nelle città immettono ossigeno, rimuovono le sostanze inquinanti, comprese le pericolose polveri sottili Pm10, schermano il rumore, migliorano il microclima oltre che aumentare il valore delle aree urbane e favorire il contatto tra le persone e la natura. Purtroppo queste funzioni non sono conosciute, valorizzate e potenziate, spesso per ragioni legate a una cultura sbagliata, che non considera il valore, anche economico, della natura e degli  alberi». In Europa, manco a dirlo, la musica è diversa.
 
A Berlino gli alberi sono protetti e non possono essere abbattuti o potati, salvo casi eccezionali. In Svizzera, spiegano dall’amministrazione comunale, la potatura sistematica è ritenuta «una cattiva tradizione dei paesi latini. Non esistono motivi economici e ecologici che possano giustificarla». Tranchant Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura all’Università di Firenze: «La miglior potatura è quella che non si vede». Chissà che qualcuno lo ascolti.  

Scrivi commento

Commenti: 1
  • #1

    gianpaolo pamio (giovedì, 05 marzo 2015 20:52)

    Spesso nelle potature sistematiche si nascondono interessi orizzontali di ditte ed appalti impegnati in tali opere. Stucchevole poi che un Paese come il nostro cui il paesaggio rappresenta il nostro...petrolio non contempli qualifiche specifiche per chi opera nel verde pubblico e più in generale nelle attività di giardinaggio.