Recupero dei castagneti da frutto

Il recupero di vecchi castagneti da frutto, senza ricorrere all'innesto di nuove varietà, dovrebbe riguardare esclusivamente quei castagneti che seppure secolari, risultano essere costituiti da varietà tuttora valide commercialmente, che presentano caratteristiche d'impianto razionali (alberi disposti in file regolari; assenza di altre essenze arboree; terreni pianeggianti o leggermente acclivi, posti nei pressi di vie di comunicazione) e che denotano un soddisfacente stato sanitario.

I castagneti che rispondono a tali requisiti occupano tuttavia, in Emilia-Romagna una superficie assai modesta.

 

Nella quasi totalità dei casi questi castagneti presentano piante impalcate molto in alto (2-3 metri e anche più) spesso con una chioma molto fitta, così che gran parte di questa risulta in ombra causando una riduzione della produzione il castagno, infatti, come è noto, fruttifica esclusivamente su germogli inseriti sui rami in piena luce.

La prima operazione da eseguirsi consisterà, quindi, nella eliminazione delle branche più vecchie, malate o mal distribuite.

Questa potatura, che è da considerarsi di ringiovanimento, sarà tanto più energica quanto più la pianta risulta essere debilitata. Al contrario, se la pianta è in buone condizioni e la chioma è equilibrata, sarà sufficiente eseguire alcuni tagli di alleggerimento. Sulle superfici di taglio così prodotte, per evitare l'ingresso di agenti patogeni, è indispensabile applicare una miscela anticrittogamica, preparata al momento e costituita da olio di lino cotto e ossicloruro di rame (200 9 di polvere per 1 litro di olio), inoltre è bene spalmare del mastice per ferite (per esempio “lac basalm”). I nuovi rami che si svilupperanno saranno in grado di fruttificare dopo 2-3 anni e potranno produrre frutti più grandi della media.

L'eliminazione del sottobosco e un’operazione necessaria poiché consente di impedire l'invasione spontanea da parte di altre specie arboree, permette di limitare gli attacchi parassitari e, inoltre, facilita le operazioni di raccolta dei frutti. Lo sfalcio periodico delle erbe è una operazione che deve essere eseguita almeno due volte nel corso della stagione vegetativa: la prima volta in luglio, la seconda in settembre poco prima della raccolta dei frutti.

La concimazione dei castagneti ne aumenta in maniera inequivocabile la produttività, anche se la sua convenienza economica non è ancora stata dimostrata. Si possono consigliare i seguenti quantitativi di concimi, da intendersi come orientativi: 3 q/ha di nitrato ammonico, 2,5 q/ha di perfosfato minerale, 1,5 q/ha di solfato potassico; se disponibile è consigliabile impiegare il letame. Nei castagneti posti su terreni declivi, come è il caso della quasi totalità di quelli esistenti in regione, la lavorazione del suolo può provocare la erosione dello strato superficiale, è quindi consigliabile in tali casi limitarsi allo sfalcio delle erbe, provvedere alla eliminazione degli arbusti e alla apertura di piccole fosse trasversali per la regimazione delle acque superficiali.

 

L'INNESTO SU POLLONI DI CEPPAIA

 

Nei casi in cui il vecchio castagneto da frutto risulti essere costituito da varietà di scarso interesse produttivo o sia stato precedentemente ceduato, e si presenti sia per ubicazione (nei pressi di vie di comunicazione), sia per pendenza (assai limitata) e altitudine (tra i 250 ed i 700 m s.l.m.) idoneo alla produzione di frutti, l'intervento di recupero consisterà nell'innesto su polloni di ceppaia.

L'impianto ex novo di un castagneto, infatti, comporta sia alcuni problemi di ordine tecnico (difficile reperibilità di piantine innestate con cultivar adattate alle condizioni climatiche locali; forte crisi di trapianto; lungo tempo necessario per entrare in produzione della pianta), sia problemi di tipo economico, dato l'elevato costo d'impianto, che ne sconsigliano attualmente l'esecuzione. Con l'innesto su polloni di ceppaia, al contrario, è possibile ottenere una anticipata produzione del castagneto (dal quinto anno, ma è già possibile raccogliere qualche frutto dal terzo anno) con una evidente riduzione dei costi d'impianto. Tale tipo di intervento non presenta difficoltà tecniche, ma richiede solo il rispetto di alcune elementari regole durante l'esecuzione degli innesti, che mirano essenzialmente a prevenire l'attacco del «cancro corticale», e per la potatura di allevamento delle nuove piante così ottenute.

 

Individuazione delle ceppaie e dei polloni

 

Dalla corretta esecuzione di questa operazione preliminare dipende buona parte della riuscita del futuro castagneto, è quindi essenziale porvi la massima attenzione.

In genere dovranno innestarsi 100 ceppaie per ettaro, che pertanto dovranno trovarsi in media a circa 10 m di distanza tra di loro.

Le vecchie piante di castagno presenti dovranno essere tagliate rasoterra, possibilmente lasciando una superficie liscia e modellata in maniera tale da impedire il ristagno d'acqua; la corretta esecuzione di questo taglio si rivela essere importante, poiché le porzioni del tronco che sporgono eccessivamente dal terreno sono soggette a vari attacchi di parassiti.

I polloni che si originano dalle ceppaie in seguito alla ceduazione delle piante sono facilmente soggetti all'attacco del «cancro corticale» e, inoltre, si presentano spesso curvi alla base. La ripetuta ceduazione consente di ottenere, in genere, polloni di migliore qualità più adatti all'innesto e con minore suscettibilità agli attacchi della Endothia parasitica. Tra i polloni ottenuti dall'ultima di queste ceduazioni, il cui numero varierà in funzione delle condizioni sanitarie del castagneto, viene effettuata una selezione, al fine di individuare i polloni da innestare e quelli aventi funzione di riserva e di «tirasucchio» (tali cioè da mantenere vitale la ceppaia).

I polloni da rilasciare vanno scelti fra quelli sani, diritti e che non si trovano troppo spostati verso l'esterno o verso il centro della ceppaia ed aventi un diametro, a circa 1-1,20 m di altezza, non superiore ai 4-5 centimetri.

Normalmente, per ogni ceppaia, vengono contrassegnati non più di 3 polloni da innestare, posti ai vertici di un ipotetico triangolo equilatero, nonché un ugual numero di polloni con funzione di riserva o di «tirasucchio». Tutti gli altri polloni dovranno essere eliminati.

È importante che tutto il legname così ottenuto venga portato fuori dal castagneto il più presto possibile per non favorire la diffusione del «cancro corticale)>.

Dal castagneto si dovranno ovviamente togliere le piante appartenenti ad altre specie, in quanto si vuole costituire un impianto specializzato da frutto.

 

L'esecuzione degli innesti

 

Per quanto concerne l'approvvigionamento del materiale di moltiplicazione, è necessario distinguere le modalità di raccolta delle marze, a seconda che si tratti di innesti da eseguirsi alla fine dell'inverno (a spacco, a corona, a scaglia), alla fine della primavera (a zufolo), oppure alla fine di agosto (a scaglia).

Negli innesti a corona e a spacco le marze devono essere ben lignificate e raccolte nei mesi di febbraio e marzo. A questo scopo si devono impiegare i rami più vigorosi dell'anno precedente; se questi non sono lignificati a sufficienza è conveniente prelevare rami di due anni.

Nel caso dell'innesto a scaglia, le marze possono essere prelevate in febbraio-marzo oppure alla fine di agosto.

Per l'innesto a zufolo, che viene eseguito alla ripresa dell'attività vegetativa, si preleva, al momento dell'innesto, un ramo della varietà che si vuole propagare, avente diametro di poco superiore a quello del portainnesto.

Il materiale di moltiplicazione prelevato in inverno deve essere conservato in sacchi di plastica ben chiusi, in luogo freddo (3-4 °C).

Durante la esecuzione degli innesti è di fondamentale importanza operare in maniera tale da limitare al massimo la contaminazione della superficie di taglio del pollone e delle marze da parte del cancro della corteccia, a tal fine è opportuno:

 

Disinfettare ripetutamente tutti gli strumenti occorrenti per innestare (roncole, seghe, coltelli da innesto), questa operazione puo’ essere eseguita utilizzando alcool denaturato;

 

Evitare, al massimo, scortecciamenti e altri tagli accidentali;

 

Il pollone deve essere tagliato all'altezza stabilita per l'innesto subito prima dell'esecuzione di questa operazione.

 

Al fine di ottenere i migliori risultati è inoltre consigliabile tenere presenti i seguenti accorgimenti:         

Effettuare gli innesti nelle giornate umide, evitando il più possibile le giornate molto ventose;

 

Preferire le giornate con temperature oscillanti tra i 15 ed i 20 °C

 

Eseguire, preferibilmente, gli innesti a scaglia e a spacco il mattino, gli altri al pomeriggio;

 

Innestare generalmente a circa 1-1,2 m di altezza.

 

L'innesto a corona, di largo impiego fra i castanicoltori emiliano-romagnoli, consiste nell'inserimento delle marze sotto la corteccia del portainnesto, dopo aver accuratamente ripulito la superficie di taglio con un coltello da innesto.

Operando su polloni aventi un diametro di 4-5 cm ad 1-1,2 metri di altezza si impiegano solitamente 2-3 marze; con diametri maggiori dovrà essere aumentato il numero delle marze.

L'esecuzione dell'innesto su polloni aventi un diametro superiore ai 5 cm è sconsigliabile, a causa dell'elevato numero di marze occorrenti e il maggior tempo necessario per la ricopertura della superficie di taglio, che può favorire l'attacco del cancro corticale.

L'innesto va eseguito quando il soggetto è in «succhio» (solitamente fine aprile-inizio maggio); la marza deve essere invece ancora in riposo.

La marza può essere tagliata nella parte rivolta verso il centro del pollone con un solo taglio leggermente obliquo, oppure con due tagli in modo da ottenere uno scalino che serve da appoggio alla marza; è consigliabile l'asportazione dl una sottile striscia di corteccia dalla parte della marza rivolta verso l'esterno.

Solitamente, per questotipo di innesto vengono impiegate marze corte aventi due gemme sane, questo perché le marze di maggiore lunghezza si possono muovere, causando il fallimento dell'innesto.

Per evitare che le marze si muovano, notevole importanza riveste la legatura eseguita con raffia o altro materiale apposito, ed effettuata in prossimità del punto d'innesto.

Infine, la superficie di taglio e la testa delle marze vanno ricoperte con abbondante catrame da innesto o con cera a freddo, per evitarne la disidratazione. Si può utilizzare un catrame, di produzione artigianale, che consente di ottenere ottimi risultati, la cui composizione è la seguente:

pece navale 9 500,­

pece greca 9 500;

cera d'api 9 80,

olio di lino o di oliva 2 cucchiai;

alcool denaturato 9 200.

L'innesto a corona pur determinando superfici di taglio relativamente ampie, presenta il vantaggio di una facile esecuzione, tale da essere consigliabile anche ad operatori poco esperti.

 

L'innesto a spacco va eseguito, in genere, nella prima metà di aprile; è opportuno innestare polloni aventi un diametro massimo di 4-5 cm. Le marze, preparate al momento, dovranno essere corte e fornite di 2 gemme sane.

Sul pollone capitozzato, dopo aver ripulito la superficie di taglio si pratica uno spacco diametrale con una roncola. È opportuno eseguire una stretta legatura alcuni centimetri al di sotto della superficie di taglio, per evitare che lo spacco sia troppo profondo.

Le marze, solamente una quando il pollone ha un diametro inferiore ai 2-3 centimetri, hanno la base modellata a forma di cuneo e vanno collocate in maniera tale che il loro cambio sia a contatto con quello del portainnesto.

L'innesto deve essere legato strettamente e ricoperto con abbondante catrame o cera a freddo.

Questo tipo d'innesto consente di ottenere risultati eccellenti e una saldatura, fra epibiota e soggetto, rapida e perfetta. Esso è particolarmente efficace se eseguito su polloni di diametro inferiore ai 2-3 centimetri e con una sola marza.

 

Anche l'innesto a zufolo, detto pure ad anello, permette di ottenere ottimi risultati; la parte apicale del portainnesto, che rimane spesso scoperta, è però facilmente attaccata dal «cancro della corteccia».

L'innesto si può eseguire non appena il soggetto e la marza sono in succhio (dalla meta di aprile in poi).

Il portainnesto deve essere capitozzato all'altezza a cui si intende eseguire l'innesto; si devono praticare 3-4 tagli verticali nella corteccia, lunghi alcuni centimetri, e quindi la si stacca.

A questo punto si preleva un ramo della varietà che si intende propagare e se ne asporta un anello di corteccia, comprendente una gemma. Si inserisce l'anello sul portainnesto e lo si fa scivolare verso il basso fino a quando questo si blocca.

I lembi di corteccia del portainnesto possono essere indifferentemente asportati o riuniti verso l'alto.

La eventuale parte di legno del portainnesto che rimane al di sopra dell'anello deve essere raschiata con un coltello. Non è necessario l'uso del mastice.

Questo tipo di innesto comporta, oltre ad una notevole perizia dell'operatore, un considerevole spreco di materiale,di moltiplicazione che, come è noto, è sempre difficilmente reperibile.

 

Con l'innesto a scaglia o alla majorchina, praticano nel soggetto due tagli convergenti in modo tale da asportare una porzione di corteccia e di legno.

Per quanto riguarda la marza, si devono praticare un taglio inclinato di 45° verso il basso a circa mezzo centimetro sotto una gemma e un taglio di un centimetro al di sopra di questa, in modo tale che si congiungano.

Per avere un buon attecchimento, la parte asportata dal soggetto deve corrispondere alle dimensioni della scaglia.

La scaglia deve essere legata saldamente e ricoperta con cera da innesto; si deve avere l'avvertenza di non coprire la gemma.

Per questo tipo d'innesto è possibile impiegare sia gemme prelevate al momento, sia gemme frigoconservate, quindi si possono effettuare, rispettivamente, innesti sia alla fine dell'estate, sia alla fine di aprile-inizio maggio.

 

Operazioni successive all'innesto

 

Nel caso di innesti eseguiti a corona e a spacco, è opportuno ricoprire la superficie d'innesto, dopo che il mastice si è asciugato (occorrono solitamente 2-3 giorni), con il cosiddetto <(cartoccio», si tratta cioè di un impacco di torba acida (metodo Turchetti), che sfrutta l'azione dei funghi antagonisti della Endothia parasitica e degli antibiotici contenuti in questa.

Il tutto deve essere ricoperto con un foglio di polietilene legato in maniera tale da impedire il disseccamento dell'impacco, ma che consenta al tempo stesso ai germogli originatisi dalle marze di svilupparsi.

E importante non spostare assolutamente le marze durante questa operazione, pena l'insuccesso dell’innesto.

L'impacco deve essere mantenuto fino all'avvenuto attecchimento delle marze, poiché se viene tenuto troppo a lungo può provocare l'emissione di radici dalle stesse, mentre dalle ferite causate dalla eliminazione delle radici può penetrare il cancro corticale.

Un altro utile accorgimento consiste nell'applicazione a tutte le ferite di una miscela anticrittogamica. Infatti, le ferite provocate sui polloni per l'eliminazione dei succhioni, quelle causate dalla eliminazione dei ricacci delle ceppaie e tutte le altre ferite, ad eccezione delle superfici d'innesto, devono essere trattate con detta miscela anticrittogamica, costituita da olio di lino cotto e ossicloruro di rame (200 g di polvere per 1 litro di olio), preparata poco prima dell’uso. La miscela viene di solito applicata sulle ferite con un pennello.                 

Quando l'innesto è attecchito, i polloni vanno legati a pali lunghi circa 3metri, possibilmente non di castagno, profondamente piantati nel terreno; questo tipo d'intervento riveste una particolare importanza nel caso dell’innesto a corona e dell’innesto a spacco con 2 marze.

Tra pollone e tutore si deve frapporre un cuscinetto di cartone o di altro materiale, al fine di evitare sfregamenti o ferite che possono favorire l’attacco del cancro corticale.

I germogli originatisi dalle marze vanno assicurati al tutore quando hanno raggiunto la lunghezza di circa 50 cm; questa legatura deve essere ripetuta dopo altri 50 cm circa, ed una ultima volta in autunno in modo tale che il peso della neve non li pieghi o li spezzi.

Gli innesti falliti devono venire eliminati giacché tali marze, impedendo la cicatrizzazione della ferita, favoriscono le infezioni di E. parasitica. Nel punto in cui si trovava la marza è necessario trattare con miscela anticrittogamica.

Quando i germogli hanno raggiunto, all'inizio di giugno, una lunghezza di almeno 60-70 cm si può eseguire una cimatura verde, che consiste nell'asportazione della gemma apicale, effettuata anche con l'unghia del pollice, al fine di fermarne l'accrescimento in lunghezza e di favorire la lignificazione e la emissione di germogli laterali. Nei castagneti fortemente attaccati dal cancro corticale ci si deve astenere da tale pratica, poiché la ferita può talvolta essere infettata.

Gli innesti, assicurati al tutore, vanno segati in luglio per evitare strozzature; nello stesso periodo è opportuno provvedere ad un primo sfalcio delle erbe, a cui seguirà un secondo in settembre.

 

La potatura di allevamento

 

La potatura di allevamento dei germogli originatisi dalle marze innestate sui polloni di ceppaia si basa sul presupposto, ormai generalizzato in frutticoltura, di limitare al massimo il numero dei tagli, al fine di costituire velocemente lo scheletro della pianta, ottenendo così una più rapida messa a frutto e una diminuzione dei costi.

Nel caso in cui l'innesto sia stato eseguito a corona o a spacco diametrale con 2 marze, in cui coesistono quindi più germogli sullo stesso pollone, è necessario privilegiare fin dall'inizio il germoglio principale, di solito quello più interno, che è destinato a formare in 3-4 anni la struttura scheletrica portante dell'albero. I germogli che derivano dalle altre marze dovranno essere progressivamente accorciati oppure ridotti a branche fruttifere laterali che verranno successivamente eliminate; infatti, la funzione di questi germogli è essenzialmente quella di consentire una rapida chiusura della superficie di taglio.

Al contrario, qualora l'innesto sia stato eseguito a spacco con una sola marza, a zufolo o a scaglia, ci si limiterà ad eliminare i germogli male inseriti.

Le superfici di taglio dovranno essere sempre trattate con la miscela anticrittogamica onde evitare attacchi di E. parasibica o, quando siano di apprezzabile dimensione, si dovranno proteggere con appositi mastici. Anche le cesoie dovranno essere ripetutamente disinfettate.

Dal secondo anno di innesto è opportuno eseguire tagli di raccorciamento delle branche competitive con l'asse primario, al fine di favorire il ripristino della continuità del fusto. La potatura di allevamento dovrà essere attuata in maniera tale che i 2/3 alberi che si trovano su di una ceppaia dovranno essere distribuiti spazialmente così da costituire una chioma armonica che occupi tutto lo spazio disponibile. Negli anni successivi si effettueranno interventi sui rami in piena luce; pertanto si eseguiranno tagli di sfoltimento, per consentire il passaggio di questa anche nelle parti interne della chioma. Tali tagli favoriranno anche un adeguato rinnovamento della vegetazione, indispensabile per mantenere una elevata produzione, essendo noto che il castagno fruttifica sui germoglio dell'anno. Nella esecuzione dei tagli si dovrà inoltre rammentare che, affinché la base dei rami si conservi ben ricoperta di vegetazione, è essenziale mantenere sfoltite le cime.

Durante il periodo di allevamento la ceppaia dovrà essere pulita dai nuovi polloni e dai succhioni che si originano dai polloni innestati; tale operazione deve essere compiuta, durante la stagione vegetativa, possibilmente ogni 30-40 giorni, per evitare di causare ferite troppo ampie alla pianta, le quali vanno sempre trattate, nel più breve tempo possibile, con la miscela anticrittogamica descritta precedentemente.

 

Civiltà del Castagno

 

Prima dell’introduzione della Patata, la castagna era la risorsa alimentare essenziale dei paesi con terreni silicei poveri della Francia meridionale, della Corsica, dell’Italia, e teneva in altri tempi il posto del pane e spesso della carne. L’albero ed i suoi frutti furono, qua e la’, il cuore dei gruppi umani che ne dipendevano così strettamente come gli eschimesi sono legati all’esistenza delle foche e vi sono associate tante tradizioni, tecniche e pratiche, paesane e domestiche, che si può parlare di una vera civiltà del Castagno. In alcune regioni la Castagna non fu mai il solo nutrimento, ma, per gran parte dell’anno, i poveri non conoscevano altri cibi: “ La Castagna” scrive ancora Parmentier “offre dei grandi vantaggi agli abitanti di Limoges. La loro terra fredda e sterile non può fornire grano sufficiente per la loro sussistenza annuale; questo frutto vi supplisce. Per loro è una neccesità e gli abitanti delle campagne attendono con impazienza il momento in cui godranno di questo vantaggio. Preferiscono questo alimento a tutti gli altri; ed è spesso il solo che si possono procurare durante sei mesi all’anno. Nelle annate in cui i frutti mancano, o sono meno abbondanti, i paesani sono ridotti alla più deplorabile miseria”.

Il Castagno è la pianta di interesse forestale che, fra tutte, più ha legato la sua diffusione alle vicende dell’uomo, a tal punto che, oggi, non è possibile stabilire con certezza la sua area di indigenato. E’ noto che in varie regioni italiane, per molti secoli e fino a tempi piuttosto recenti, la farina di castagne è stata il principale alimento delle popolazioni montane, tanto che il castagno ha meritato l’appellativo di “Albero del Pane”. L’importanza che il castagneto aveva in passato, è testimoniata dal fatto, che per Regioni ad antica tradizione castanicola, sono noti documenti che dimostrano come fino dal XVI secolo per le selve castanili vennero emanate particolari norme di tutela.

La sostituzione di un castagneto con altre colture (viti, olivi e fruttiferi vari) poteva avvenire solo su licenza di apposite autorità. In alcuni casi l’autorizzazione era concessa a condizione che si attuasse l’impianto, in un’altra zona, di un numero maggiore di castagni con l’impegno anche di eseguire le cure colturali necessarie. Ciò probabilmente era dovuto al fatto che, per certi ambienti, coltivazioni apparentemente più remunerative potevano in seguito rivelarsi fallimentari.

L’esodo dalle campagne verso i centri urbani, avvenuto nel dopoguerra, è stato una delle cause determinanti la riduzione della produzione di castagne. Contemporaneamente a questo fenomeno sociale, che tra l’altro può avere determinato anche un cambiamento di gusti in conseguenza di nuove opportunità alimentari, si è verificata la comparsa di malattie come il male dell’inchiostro (Phytophtora cambivora) e il cancro corticale (Cryphonectria parasitica) che hanno contribuito, in misura massiccia, alla diminuzione sia della produzione di castagne che della superficie destinata a castagneto

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